Un mezzo buco nell’acqua, finalmente.
Il perché io scelga di parlare di una stagione di GoT solo quando mi capita di insultarla è materia per gli psicologi; per il resto, v’è da dire, la stagione tanto attesa (specialmente da chi i libri li ha letti e conosce i fatti) ha lasciato parecchio amaro in bocca per tutta una serie di motivazioni che vado ad elencare, ma non prima di aver sfrucugliato per bene le parti su cui occorre, per onor di verità, lasciarsi andare agli elogi.
Innanzitutto la realizzazione tecnica:
Sotto la supervisione di Joe Bauer, quattro case di produzione si sono alternate alla realizzazione dei VFX di questa quarta stagione (MPC, Rodeo, Scanline e Pixomondo). Al di là dell’ovvia manipolazione di riprese e colori, abbiamo avuto altre scene coi tre draghi da integrare a Emilia Clarke, draghi che sono più grossi, occupano più spazio nella ripresa, pretendono piani più ristretti sui dettagli e di conseguenza più qualità e più tempi di rendering. Gioco facile se ci si riferisce a gente del calibro delle case menzionate qui sopra, ma l’idea che il budget debba in qualche modo venir preservato mi lascia sempre con il timore che il risparmio (come la seconda stagione) venga concentrato sui VFX. Stavolta, in tutta evidenza, o non è andato così o di fondi siam stati più di manica larga. La vista di Mereen è un tocco di pura classe, come anche la scena dello scontro alla Barriera che ha fatto impallidire lo squallore realizzato per la Battaglia delle Acque Nere: laddove i close up su gruppetti scarni di comparse, che corrono e si picchiano, era l’unico espediente per evitare l’imbarazzo di non avere risorse o capacità per una scena con due eserciti che si danno battaglia.
Nessun panoramica che io ricordi ha avuto la pretesa di descriverci meglio Approdo del Re, e lì qualcosa mi verrebbe da dirla (specialmente perché momenti cruciali della stagione si consumano nella capitale), anche perché il tempo e il denaro per farci una magnifica carrellata su Braavos s’è trovato: splendido, specialmente per chi sognava di vedere il Titano, ma se serve per trovare una virgola fuori posto eccovela servita: perché Braavos sì e Approdo del Re no?
Il cast…
Non l’avrei mai detto, ma nonostante una scrittura e una regia assolutamente rivedibili (ma ci tornerò poi), il cast ha offerto una prova di assoluto spessore. Dietro le ovvie conferme di Coster-Waldau, Dinklage, Headey ci sono le graditissime sorprese di Maisie Williams in coppia con Rory McCann, entrambi autori di alcuni siparietti alquanto affascinanti tra il Mastino e Arya Stark; oltre loro e l’ovvio Charles Dance, ho registrato qualche saporita prova di Sophie Turner e di una Sansa meno legata allo stereotipo della cucciola sperduta e sfigata. Un bene, specialmente perché l’aver rivisto gli eventi di Nido dell’Aquila rischiava di rivelarsi un pastrocchio. Con la Turner in questa mise, invece, il pastrocchio lo è solo per metà. Cos’altro dire di Jack Gleeson? Se lo scopo del Jeoffrey Baratheon versione serial doveva essere quello di farsi odiare al punto da far godere ogni piccolo e pervertito essere umano alla sua morte, ebbene abbiamo di fronte a un fenomeno. L’incipit di questa stagione, la morte di Jeoffrey, offre il solenne saluto a questo ragazzino talentuoso, tanto lui quanto Iwan Rheon, sadici mattatori della terza stagione, hanno contribuito al fascino che questo serial riesce a creare nonostante le pochissime puntate a stagione e le pecche su cui andiamo ora.
La sceneggiatura…
Difenderò le scelte di sceneggiatura contro la linea-guida del libro fino a farmi venire “le papule sotto i piedi“: è d’obbligo uscire dai suoi binari, specialmente perché la parte che questa stagione affronta è fin troppo piena di introspezione e di background. Però……. Cazzo non esageriamo. Piombare dal nulla con Ditocorto e Sansa a Nido dell’Aquila non deve essere stato facile per gli sceneggiatori, tanto che gli eventi descritti sanguinano di raffazzonato. Nessun vero punto d’ancora ha questo bizzarro rapporto tra Sansa Stark e Lord Baelish, laddove lui rischia addirittura di fare una pessima fine se non fosse per lei. Stride il non aver pensato al corso di eventi dopo la dipartita dell’inutile Lisa Tully in Harryn, tanto quanto l’inesistente spessore dei personaggi coinvolti. Una scrittura più accorta avrebbe in qualche modo riservato tempo e importanza alla cosa, per non parlare di una regia decisamente poco incline al riservare attenzione a questi dettagli, sembrando quasi in grado esclusivamente di appoggiarsi al libro dove serve. Mi spiego: il libro contribuisce a dare spessore ai personaggi che appaiono dal nulla e nel nulla finiscono nel serial, ma disorienta che questi stessi personaggi appaiano in vicende, invece, riviste. Come accade appunto a Nido dell’Aquila. Potrei fare il medesimo discorso sul rapporto tra Tyrion e Jaime, ma in questo caso la semplificazione del tutto, oltre che obbligata, è anche parsa reggersi in piedi adeguatamente. Discorso diverso per i siparietti dei due in carcere, in special modo l’ultimo con l’inutile aneddoto di Orson Lannister. Perché sprecare il talento di Dinklage per un discorso inconcludente e non utilizzare quei preziosissimi minuti per dare un po’ di spessore a una stagione che, di questo spessore, ha tremendo bisogno? Misteri di regia.
Parliamo delle peripezie di Daenerys Targaryen? Già detto di quanto sia bella Mereen, no? Bene, eppure di questa Mereen nessuno ci dice nulla. La Regina dei Draghi, apparte sembrare una scazzatissima sovrintendente, non fa. Eppure il potenziale per controversie e ciccia da gustare ce n’era a chili. Riservare a dei postulanti che si inginocchiano al suo cospetto e si lamentano il compito di raccontarci Mereen è un tentativo tanto audace quanto fallimentare. Infine raffazzonatissimo l’allontanamento di ser Jorah, con una scena ai limiti dell’amatoriale: ragazzino che appare, senza sapere alcun perché e per come, consegna foglio a ser Barristan, e ser Jorah è liquidato. Fintissimo il pathos di una scena preparata male e raccontata peggio.
Vogliamo poi parlare di Verme Grigio che vuol farsi Missandei? Ma perché sprecare chilometri di pellicola per i due personaggi più inutili di Mereen? Verme Grigio è perfetto se deve prendere una lancia e rompere culi, Missandei la possiamo tollerare con le sue sbrodolanti presentazioni della Reginetta, arriviamo ad accettarla nei siparietti con Daenerys, ma davvero è interessante la sua presunta storia d’amore con l’eunuco quando c’è una città da amministrare e tantissime cose su di essa da raccontare? Pessimo.
Altra vicenda dalle oscure motivazioni è la scazzottata cui ci siamo dovuti obbligare tra il Mastino e la Vergine di Tarth. Non si comprende l’obbligo morale di far arrivare Arya Stark alla Porta Insanguinata solo perché dovessimo sorbirci la risatina della Williams con NESSUNO che si domanda se sia il caso, sta ragazzina di nobile lignaggio, di portarla dentro; in più nell’inspiegabile viaggio di ritorno, per chissà quale botta di culo, Brienne riconosce Arya e scorbezzola di mazzate il Mastino che, sì, giustamente deve schiattare ma davvero non c’era un modo un po’ più credibile di far scappare Arya verso Braavos? Meno male che il pathos, questo invece vero, creato dalla moneta di Jaqen H’Ghar ha salvato il tutto, ma anche qui siamo al calcio d’angolo…
L’unico altro aspetto che mi ha veramente convinto è la narrazione delle vicende sulla Barriera. Anche qui: le virate sceneggiative sono state adeguate alla bisogna e un Kit Harington curiosamente in forma ha tenuto botta ad esigenze di copione che ne hanno limitato il campo d’azione. Certo è che dedicare un’intera puntata all’assalto del Re oltre la Barriera si è rivelato vincente, tanto quanto la regia dell’unica puntata veramente decente dell’intera stagione. La chiusura della parentesi con la magnifica Ygritte di Rose Leslie mi è parsa la vera bomba, sia per l’aspettativa creata che per la sua effettiva realizzazione. Per la prossima stagione, mi auguro, l’ottimo Tormund di Kristofer Hivju (chissà come stracacchio si pronuncerà sto nome) troverà spazio e importanza anche senza grugniti di battaglia, da lui e dal sempre disinfettatissimo Stannis Baratheon (Stephen Dillane) mi aspetto le cose migliori.
Comunque, nel complesso, il buco nell’acqua è di quelli che si ricordano.