Tornando a parlare di pallavolo: tempo fa il buon (ex) CT Berruto ha diramato le liste per la World League che si è conclusa da poco, dei risultati e di come ha giocato la nostra formazione ne parlerò, eventualmente e se ne avrò voglia, più avanti; quello che mi preme prendere come spunto nasce dalle motivazioni secondo le quali sono stati esclusi due giocatori dal gruppo azzurro: Michele Baranowicz e Jiri Kovar.
Liquidiamo il secondo: se a Kovar non fotte una cippa della nazionale poco mi frega, da che mondo è mondo chi va in Nazionale si spacca la schiena dodici mesi all’anno, se sei già cotto a 26 anni e chiedi di non venire impiegato, a mio modestisssssimo parere, l’unico azzurro che metterai in futuro sarà quello del tuo pigiama; per fortuna non è il mio mestiere quello del CT, perché io le cose me le lego al dito…. Se poi, e invece, si tratta di altro allora è meglio, suggerisco a Berruto o chi per lui, inventarsi qualcosa che non faccia passare il giocatore per uno che della nazionale se ne sbatte alacremente. Ma qui siamo alla comunicazione, poco mi frega.
Ciò che invece mi ha turbato è la frase inerente Baranowicz, che riporto: «Non ho voluto creare una rivalità in quel ruolo…».
Posto che la frase sia stata correttamente trascritta, giusto precisarlo, e posto che la verità sia questa, siamo di fronte a quello che, nel mio piccolo, costituisce la negazione della pallavolo stessa.
Ma come stracacchio si può accettare che il primo palleggiatore non emerga in nessuna maniera dalla rivalità interna tra i due migliori interpreti del ruolo che hanno avuto la sfigaccia di nascere nella stessa nazione? Diamo i numeri?

Su questo devo dar ragione a Vacondio: «Un palleggiatore deve essere forte a palleggiare, poi viene il resto…»
Tra l’altro, mi si permetta, non è che parliamo del più grande palleggiatore delle nostra storia presente e passata, anzi. Il buon Dragan Travica, bontà sua, è forse il giocatore più criticato che abbia mai palleggiato in nazionale, c’è persino gente che rimpiange Vermiglio dopo averlo insultato per anni. Tra gli addetti ai lavori se ne sentono di ogni: dalla difficoltà di cacciar fuori un palleggiatore decente dai tempi di Meoni, alla precisione di palla, alle scelte. Personalmente trovo Travica non all’altezza per mere questioni di precisione di palla, sebbene tatticamente non lo disdegni affatto, da qui alla necessità di avere un secondo in grado di mettere i piedi in campo il passo è breve; o meglio… DOVREBBE essere breve. Con tutte le riserve che si possano attribuire a Baranowicz (comunque reduce da un infortunio), nelle condizioni in cui siamo è comunque doveroso avere un cambio credibile. Se poi calcoliamo che lo scudetto l’ha vinto una squadra che schiera un palleggio giovane, talentuoso ed ITALIANO, ecco che suggiunge quello che, in gergo madagascariano antico, si chiama “Imbarazzo della Scelta”.
Con le maiuscole, che fa più figo.
Tralasciando la parte riguardante le scelte del CT che abbiamo appena elencato, andiamo sulla parte meramente didattica. «Eh ma signora, anche in nazionale vogliamo fare i didattici?». Eh beh sti cazzi? Come posso permettermi, io piccolo allenatorucolo di quartiere, di insegnare alle mie atlete che la rivalità nei ruoli attiva quella pruriginosa sensazione di traguardo insita nella lotta per un cacchio di posto nel sestetto? Se c’è Travica che c’ha LO posto fisso perché non devo avercelo pure io nel PollenaTrocchia Volley Club? Quindi c’abbiamo i privilegi, quindi giochiamo in undici. Via il secondo palleggio, lo si sfrutta solo in caso d’infortunio; ma se hai la possibilità di schierare il meglio e di farlo lavorare sotto pressione? Si dirà che la pressione non è sempre una buona insegnante; mabbafanculo, dico io, non c’è atleta più performante di quello/a che c’ha il pepe ar culetto di una panchina perfettamente in grado di ciucciare posto in campo non appena cala il rendimento. Alle volte ottimi compagni di squadra sanno insegnare di più di certi noi allenatori e non parlo di esempio, parlo di quella scomodissima presenza in spogliatoio che non mi rende scontato e che non mette la mia presenza in campo un’ovvietà, a meno che non vi renda onore sudando sangue. Non solo devo lavorare sodo, ma devo anche estrarre qualità. Per cosa stracacchio esiste la competizione interna al gruppo se non su questo? Poi certo che se non hai una panchina degna ti devi arrangiare, e ci mancherebbe, ma davvero si pensa che Travica non dia il meglio se c’è qualcuno di forte seduto? Sul serio?
Le cose sono due, o il signor Travica ha sbagliato sport o il signor Berruto ha sbagliato gestione. Perché, se il primo ha preteso spazio garantito, lo ha fatto ignorando una questione di lana caprina: non è un palleggiatore forte. Quelli forti sono altri ed è proprio nel richiedere la gratuita considerazione che si ammette di non essere a livello. Francamente non ce lo vedo Bruninho a pretendere che nessuno di decente si segga in panchina, col nazionalismo che esonda da quegli occhietti porcini mi stupirei alquanto. Poi oh, sono gli alti livelli e noi qui in basso non ne capiamo nulla, ma stona assai che il top del nostro sport conservi, a livello didattico, una contraddizione così smaccata con chi la pallavolo la insegna a livello giovanile e deve pretendere il massimo da atleti che, in molti casi, pagano pure per giocare. I nazionali hanno pure i vizi, figuriamoci se una mamma non può sentirsi in dovere di richiedere spazio per la figlia per il solo motivo che ci paga lo stipendio. Eh beh certo. Sicuro.
Cosa se, invece, Travica non avesse preteso nulla e fosse tutta farina del sacco di Berruto? Sulla didattica abbiam già detto ma qui appare chiaro un altro aspetto: che credibilità può avere un tecnico che elimina la competizione interna per favorire un singolo giocatore e lo dice pure apertamente? Intendo cosa emerge, in termini di motivazione, se per far rendere un mio giocatore al meglio devo togliergli pressione invece di farlo convivere con essa al fine di aumentare le chance di risultato? Lo sanno anche i muri che avere giocatori forti, anche seduti, aumenta le proprie possibilità di successo. Sempre. Occorre averceli i giocatori forti e tenere la tensione ai massimi livelli, spremere come agrumi sti ragazzi affinché ne emerga il meglio, quanti limiti mi auto impongo se apertamente tolgo qualità al gruppo? Berruto passa anche per psicologo e filosofo del volley, sul serio non si riesce a trovare un mix che permetta alla nazionale di essere al top e a Travica di giocare al massimo, spezzarsi la schiena per la maglia e, soprattutto, non rompere i maroni se si siede dopo aver giocato male?
«Eeeeh ma signora, io se mi impegno d’estate per la nazionale, voglio giocare…».
Come no, c’è posto vicino a Kovar…
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